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Kinship senza genealogia: una riflessione aperta su posizionamenti queer ed eredità femminista

2025-01-29 13:53

Serena Guarracino

femminismo, pensiero queer, queer kinship, hermaphrodyke,

Kinship senza genealogia: una riflessione aperta su posizionamenti queer ed eredità femminista

Nell’estate del 2023, un’inattesa querelle ha invaso le bacheche Facebook della mia “bolla”. In un post, l’autorevole critica letteraria Nadia Fusini

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Nell’estate del 2023, un’inattesa querelle ha invaso le bacheche Facebook della mia “bolla”. In un post, l’autorevole critica letteraria Nadia Fusini rispondeva a un articolo di Paul Preciado, originariamente pubblicato su Liberation e in traduzione italiana sul sito di Internazionale. Qui il teorico queer, da lettore e appassionato di Virginia Woolf, ne sottolineava le ambivalenze rispetto al genere femminile, fino ad ipotizzarne una posizionalità non binaria: “Le posizioni narrative e critiche di Virginia Woolf si spiegano più con la sua distanza in rapporto al binario maschile/femminile ed eterosessuale/omosessuale che con la sua fedeltà a uno dei due termini del binario”. L’originale francese si intitola “Virginia non-binaire”, e coerentemente, l’articolo nella versione italiana usa la schwa per riferirsi a Woolf (“Virginia Woolf non è mai statə eterosessuale”); Preciado reclama così questa figura totemica della critica femminista al campo degli studi queer, come poi sarebbe emerso ancora più esplicitamente nel suo film Orlando, ma biographie politique, in uscita in quel periodo.

La replica di Fusini è perentoria, e non risparmia toni aspri rispetto a quelle che definisce “storture ideologiche del suo [di Preciado] discorso pro-queer”: secondo Fusini Woolf esprime al contrario un “pensiero della differenza” – espressione non casuale, che riappropria Woolf al campo appunto del femminismo della differenza, che di Woolf “sublime donna e scrittrice”, anche grazie al lavoro critico di Fusini stessa, ha fatto una delle proprie figure di riferimento. Il dibattito è proseguito su diverse bacheche Facebook coinvolgendo voci autorevoli e con livelli variabili di acrimonia, per poi dissolversi come lacrime nella pioggia. Eppure, questo dibattito continua a persistere nella mia memoria, perché ho la sensazione che abbia fotografato in maniera lucida benché imprevista quelli che sembrano i due fronti incompatibili di una guerra di posizione che vede, da un lato, le eredi delle lotte legate al femminismo di seconda ondata, e dall’altra la “nuova frontiera” del pensiero queer, con la sua decostruzione del binarismo di genere su base biologica in favore di una visione intersezionale e complessificata dei posizionamenti identitari.

Questa contrapposizione netta tra una certa tradizione femminista e il pensiero queer appare a sprazzi nel dibattito contemporaneo, italiano e internazionale; emerge in contesti disciplinari molto diversi, facendo di alcuni corpi testuali (come quello di Woolf) campo di battaglia. Per me, come credo per altr3 che si sono format3 con le teorie femministe degli anni ’70 e hanno poi trovato risonanti per la propria ricerca e la propria vita gli strumenti offerti dalla riflessione queer, queste contrapposizioni agiscono un conflitto impossibile da navigare, con la sua pretesa di un posizionamento esclusivo ed escludente (da una parte o dall’altra) impraticabile dal punto di vista metodologico e profondamente problematico rispetto all’etica della ricerca e alla storia personale.  Quello che mi sembra impedisca di pensare a formulazioni diverse dall’aperta ostilità nel confronto – intellettuale e politico – è una certa ricorsività dell’articolazione genealogica. La dicotomia femminismo/queer sembra infatti inevitabilmente strutturarsi su un asse temporale in cui il femminismo rappresenterebbe il passato – con connotazione insieme positiva, come posizione di autorevolezza, e negativa in una retorica di progresso lineare che lo vedrebbe “superato”; mentre il queer sarebbe il futuro, anche qui con un posizionamento ambivalente, insieme più aggiornato ma anche “immaturo”, incapace di mostrare rispetto davanti alle lotte di cotante madri.

Cercare una soluzione, almeno personale se non politica (anche se, inevitabilmente, il personale è ancora politico), per me ha voluto dire tornare a rileggere la mia “cotanta madre”: Lidia Curti, docente e leader (insieme a Iain Chambers) della scuola di studi culturali dell’Università “Orientale” di Napoli dove mi sono formata. Lidia, classe 1932, femminista spietata che si faceva vanto di insegnare solo autrici e che alla scrittura e all’arte delle donne ha dedicato tutta la sua ricerca: una posizione fortemente essenzialista, con cui io oggi mi sento di certo meno a mio agio rispetto a quando ero una giovane studiosa in cerca del mio posto nel mondo. Eppure, quando nel 2015 Marta Cariello e io abbiamo chiesto a Lidia di scrivere un articolo per il primo numero della rivista de genere, lei ha deciso di chiudere il suo percorso attraverso quella “casa della differenza” che è la scrittura delle donne con Testo tossico di Paul Preciado, illuminando così una continuità tra le strategie essenzialiste di certa scrittura femminista e quelle che allora erano davvero le “nuove” (Testo tossico era stato pubblicato in spagnolo e francese nel 2008, ma in inglese nel 2013 e in italiano solo nel 2015) frontiere della teoria trans* e queer.

Certo, anche Curti cade nella trappola della genealogia quando scrive che Preciado “moves in the wake of”, “si muove sulla scia di” Monique Wittig – registrando giustamente gli echi tra Testo tossico e Il corpo lesbico, ma strutturandoli in una relazione di discendenza, e quindi in un certo senso di dipendenza. Però anche Preciado, proprio in Testo tossico, si chiede se non è (cito dalla traduzione inglese che è quella che ho letto per prima) “a feminist hooked on testosterone, or a transgender body hooked on feminism”, unə femminista dipendente dal testosterone o un corpo transgender dipendente dal femminismo: ma è un altro senso di dipendenza, non quello genealogico – e quindi, inevitabilmente, gerarchico – ma quello da una sostanza che apre a nuove potenzialità percettive come raccontava un altro autore che ho scoperto tramite Lidia (che alla fine non insegnava davvero solo donne), William Burroughs, di cui incidentalmente oggi è tornato a circolare un romanzo meno noto degli anni ’50 (ma pubblicato solo nel 1983)  dal titolo, per l’appunto, Queer.

Resto quindi ad esplorare la mia dipendenza dal femminismo – diversa certo, se non altro per motivi biografici, da quella di Preciado; mi ritrovo a “lottare con gli angeli”, come Stuart Hall chiamava la sua relazione con un’altra grande quinta teorica, il marxismo. Torno, come ogni tossica che si rispetti, a testi che una volta sono stati formativi e che adesso fanno parte di un canone, quello del “femminismo della differenza” – di ascendenza francese ma che ha visto forte pensiero e militanza anche in Italia – che certo come argomenta bene Christine Delphy è una ricostruzione a posteriori, ma che proprio per questa sua narrazione attuale ho difficoltà a reclamare come mio. E mi ritrovo a leggere queste righe da Il riso della Medusa:

 

A questa bisessualità fusionale, che cancella, che vuole scongiurare la castrazione […] io oppongo l’altra bisessualità, quella in cui il soggetto, non rinchiuso nel falso teatro della rappresentazione fallocentrica, istituisce il suo universo erotico. Bisessualità, cioè localizzazione in sé, individualmente, della presenza, diversamente manifesta e insistente secondo ogni uno o una, dei due sessi, non-esclusione né della differenza, né di un sesso e, a partire da questo ‘permesso’ che ci si dà, moltiplicazione degli effetti di iscrizione del desiderio su tutte le parti del mio corpo e dell’altro corpo.

 

Di cosa ride, oggi, la Medusa di Cixous? Delle rovine del patriarcato – che però rischiano ancora di rovinarci addosso – ma forse anche di quell’indistinto che è lo spauracchio di chi, come Adriana Cavarero in una recente intervista e nel libro che questa promuove, si appella al dato biologico – e non alla socializzazione di genere, con le sue violenze e discriminazioni – per dare senso politico al soggetto “donna”. Non a caso Cavarero scrive “ad un’ipotetica ragazza di oggi”, sostenendo la visione genealogica con cui questa eredità femminista vuole essere ancora presente nel mondo. Al contrario, la Medusa di Cixous, con la sua risata dissacrante, mi offre una kinship non discendente, non gerarchica, che si appella al senso queer della dipendenza: non subordinazione, ma uso e riuso al servizio di nuove illuminazioni.

E così il riso della Medusa riecheggia quello di Valerie Solanas, che nel suo Manifesto SCUM (1968) di recente ritradotto da Stefania Arcara e Deborah Ardilli avanza la “modesta proposta” (à la Jonathan Swift) di sterminare il genere maschile, mettendo insieme in un virtuosismo argomentativo il senso politico del femminismo separatista e la destabilizzazione radicale la categorizzazione binaria di “uomini” e “donne” come entità separate su basi strettamente biologiche. E infatti Solanas riesce a toccare una nota estremamente attuale per il dibattito femminista contemporaneo, così diviso sulle questioni della gravidanza per altri e della maternità biologica, propugnando l’emancipazione delle donne dal lavoro riproduttivo mediante la tecnologia: “la risposta è la riproduzione artificiale dei bambini”. La maternità, nel Manifesto, è infatti sempre rappresentata esclusivamente come lavoro, uno dei tanti modi in cui la ricchezza del femminile viene messa a valore nel sistema socio-economico capitalista, nonché base di quello che la teoria queer (da Lee Edelman a Jack Halberstam) chiamerà poi “futurismo riproduttivo”, l’ipoteca del desiderio presente in nome della felicità futura. Nel suo stile dissacrante e provocatorio, Solanas pone la domanda che anche oggi, a cinquant’anni di distanza, poche sono in grado di proferire: “Perché dovrebbe importarci di quello che accadrà quando saremo morte? Perché dovrebbe importarci se non ci sarà una generazione più giovane a succederci?”.

Le queer kinship, con la loro decostruzione del principio di genealogia, mi permettono di accogliere la domanda di Solanas non solo per la sua pars destruens di un’economia familista e neocapitalista, ma anche nell’immaginare una pars costruens in cui il dialogo con femminismi cronologicamente distanti si fondi su un principio di parità, e non di dipendenza volta a costruire autorevolezze più o meno para-genitoriali: questo mi permette di rileggere, e riappropriarmi, di Cixous, di Solanas, o persino di Susan Sontag che in un’intervista del 1973 guarda alla “depolarizzazione dei sessi” come una degli obiettivi auspicabili della rivoluzione sessuale, ma mette anche in guardia dalla cooptazione di questa tensione rivoluzionaria da parte di quello che oggi chiameremmo neoliberismo tardo-capitalista: “se tale tendenza non si radicherà a un livello più profondo, questo primo passo verso la depolarizzazione dei sessi, in parte cooptato come mero ‘stile’ (in vendita nelle boutique unisex) all’interno delle forme del consumismo capitalista, sarà privato delle sue implicazioni politiche.”

Il titolo dell’intervista è Il terzo mondo delle donne, come ad assumere già che un certo soggetto “donna” rappresenta in realtà non uno degli assi del binarismo di genere, ma la sua decostruzione attraverso l’introduzione di un terzo termine. Sontag, che fu sempre bisessuale dichiarata e lesbica closeted, riecheggia in diverse scritture l’idea di Cixous della bisessualità non come orientamento sessuale ma come atto di decostruzione del sistema binario alla ricerca, appunto, di una posizione terza – non di mediazione bensì di smantellamento del sistema eteronormativo dei generi sessuali. E se in questa ricerca la riflessione teorica sulla bisessualità manca di incisività, è invece il pensiero lesbico ad assumere un ruolo cruciale: una fioritura che segue a quello che Beatrice Gusmano, in un recente e dirompente numero di DWF dal titolo Lesbiche-ɜ amare, definisce un periodo di “afasia lesbica: negli ultimi anni noi lesbiche abbiamo detto poco, lasciando che si esprimessero soprattutto quelle lesbiche che ritengono che solo le donne cis possono dirsi lesbiche”. La costituzione di una queer kinship che riesca ad intrecciare i saperi dei femminismi di temporalità diverse risponde alle sfide poste ai movimenti dai contemporanei scenari geopolitici e dall’emersione di un femminismo di destra – manifestatosi prepotentemente in questi giorni con la nomina di Marina Terragni come “garante dell’infanzia” del governo Meloni in funzione anti-trans* – che si fa forte delle genealogie autorizzanti del femminismo. La presa di parola delle lesbiche o meglio delle “hermaphrodyke”, come le nomina in un altro saggio dello stesso numero Isabella Borrelli, rappresenta un momento chiave di questa queer kinship.

Bibliografia

Borrelli, Isabella. 2023. Hermaphrodyke. «DWF. Lesbiche-ɜ amare» 3-4, pp. 89-95.

Cavarero, Adriana. 2024. Di cosa parliamo quando parliamo di gender. «Il Foglio» 28 ottobre, https://www.ilfoglio.it/bioetica-e-diritti/2024/10/28/news/di-cosa-parliamo-quando-parliamo-di-gender-7091120/.

Curti, Lidia. 2015. The House of Difference: Bodies, Genders, Genres. «de genere. Journal of Literary, Postcolonial and Gender Studies» 1, pp. 39-51, https://www.degenere-journal.it/index.php/degenere/article/view/28.

Delphy, Christine. 2000. The Invention of French Feminism: An Essential Move. «Yale French Studies» n. 97, pp. 166-197.

Fusini, Nadia. 2023. Virginia Woolf «prima scrittrice non binary della letteratura occidentale»? No, thanks. Facebook, Agosto 2023. https://www.facebook.com/photo?fbid=778016654325164&set=a.131037435689759.

Gusmano, Beatrice. 2023. La gioia lesbica. «DWF. Lesbiche-ɜ amare» 3-4, pp. 18-34.

Preciado, Paul B. 2023. Un genere tutto per sé. «Internazionale», 15 agosto. https://www.internazionale.it/opinione/paul-preciado/2023/08/15/virginia-woolf-genere; ed. originale francese Virginia non-binaire, «Liberation» 10 giugno 2023, https://www.liberation.fr/idees-et-debats/opinions/virginia-non-binaire-par-paul-b-preciado-20230610_MF2TJS6775C3VOVOTI52W3HC4Q/.

Solanas, Valerie. 2017. Trilogia SCUM. Scritti di Valerie Solanas, a cura di Stefania Arcara e Deborah Ardilli. Milano, VandA.ePublishing.

Sontag, Sontag. 2023. Il terzo mondo delle donne, in Sulle donne. Torino, Einaudi.

Wittig, Monique. 2023. Il corpo lesbico, a cura di Deborah Ardilli. Milano, VandA.ePublishing.

L'immagine è un dettaglio di un'opera di Niki de Saint Phalle, foto dell'autrice (2024).

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